Let's enter Cinecittà togheter with Fellini - - article by journalist Cristiana di San Marzano published in the magazine "Annabella" (1973) (ITA)
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(dall’ Articolo di Cristiana di San Marzano e Simonetta Robiony apparso sulla rivista Annabella – ottobre 1973)
Cos’è rimasto oggi di quella che una volta era chiamata la Hollywood italiana? Lo abbiamo chiesto a Federico Fellini, unico tra i grandi registi che realizza ancora i suoi film a Cinecittà: un mondo che sta sprofondando in un malinconico squallore.
“Cinecittà? Ci capitai appena arrivato a Roma, era il primo stabilimento cinematografico che visitavo”, racconta Federico Fellini ……
Federico Fellini parla della sua Cinecittà, come l’ha vista la prima volta, come la vede oggi. “Tutto è rimasto quello che era”, dice, “soltanto che ora sulla gru, in mezzo alle nubi, ci sono io”.
E in effetti il grande stabilimento sulla via Tuscolana è rimasto tale e quale era trent’anni fa, ma soltanto come facciata, solo per tutto ciò che riguarda i servizi, i teatri, gli impianti. Per il resto, Cinecittà non è più la stessa. Non si avvertono più l’entusiasmo, l’animazione e la frenesia di trenta, venti, dieci anni fa.
“Oggi Cinecittà”, dice il truccatore Alberto dei Rossi, “è un po’ come un grosso autobus vuoto, che mette malinconia”. Soltanto quando gira Fellini, Cinecittà torna quella che era un tempo, viva, palpitante, alacre, quella dei tempi d’oro, quella dei colossal, dei Quo Vadis?, quella di Cleopatra …..
“Ci vorrebbero quattro Fellini, e Cinecittà sarebbe sempre quella di una volta”, dice Italo Tomassi, il più anziano ed esperto scenografo italiano, l’autore dei fondali dei film di Fellini e di tanti altri registi ……
Italo Tomassi è lo scenografo preferito da tutti i registi italiani. Varie volte gli americani gli hanno offerto di trasferirsi a Hollywood, ma lui ha sempre preferito rimanere in Italia. Anche ora che è in pensione, la sua seconda casa (“la prima”, dice la moglie) è Cinecittà. Sono sue le scenografie dell’ultimo lavoro di Fellini, Amarcord.
“Io lavoravo già, quando Cinecittà non esisteva ancora, alla vecchia Cines, a San Giovanni. Poi il fuoco la distrusse, e nacquero questi stabilimenti. Si era nel ’36. Mi ricordo ancora Mussolini quando venne in visita: rimase spaventato ed esterrefatto perché lo portarono nel teatro delle miniature, e c’era una scena di pioggia con tuoni e fulmini che dal rumore pareva vera. Il primo film fu Scipione l’africano: e allora le scene si facevano ancora su piattaforme girevoli in teatri col tetto di vetro, in modo da poter sempre prendere la luce giusta. Si lavorava parecchio, con i mezzi che avevamo allora: per esempio io usavo per le mie scenografie polveri colorate e colla, non certo i colori lavabili di oggi. Se si doveva ricostruire qualcosa adoperavamo cartapesta, mentre oggi è tutto in polistirolo.
Poi venne la guerra, il lavoro si fermò, Cinecittà fu occupata dai tedeschi. Ma i dipendenti e gli operai la protessero. Furono loro che nascosero sotto terra le cineprese, che avvisarono i partigiani di fermare un carico di materiale partito alla volta di Venezia, dove quelli della Repubblica di Salò volevano aprire nuovi studi cinematografici. Dopo i tedeschi Cinecittà fu invasa dai profughi. Soltanto nel ’47 il lavoro riprese. L’ottanta per cento dei dipendenti tornò sul posto di lavoro, c’era molta voglia di ricominciare, di lavorare. E si ricominciò col film Cuore.
Poi agli inizi degli anni Cinquanta cominciò il periodo d’oro, arrivarono gli americani con i grandi film. Si lavorava bene, eravamo circa millecinquecento dipendenti, si guadagnava molto.
Ora è diverso. I grandi film li fa solo Fellini. Le scenografie immense, come quelle che volevano gli americani, le faccio solo per lui. Per lui niente è impossibile. Per esempio, per Roma gli avevo preparato un Colosseo grande quasi come quello vero, poi una notte è venuto un uragano e ha distrutto tutto. Pensavo che avrebbe rinunciato a girare la scena, invece mi ha chiamato e m’ha detto: “Quanto tempo ci vuole per rifarlo?”. Una settimana dopo il Colosseo era di nuovo pronto”. …